LE INTERVISTE… IMPOSSIBILI DELLA 1E

 

Sogni e altri sogni

La ballata di Faber

Berretto, sorriso e occhiali scuri: De André è entrato in aula quasi in incognito, ospite atteso. Ecco il resoconto di una mattinata molto più reale di quanto avremmo creduto

 

 (In sottofondo: La Canzone dell'amore perduto)

 

  E’ venuto a trovarci in un glaciale mattino di febbraio, introdotto da una nevicata furibonda. Berretto da portuale, fili bianchi come lucci argentati tra i suoi lunghi capelli da eterno ragazzo, occhiali scuri, un velo di barba: in incognito, praticamente. Lui e il prof Tarantino parlavano fitto, come due vecchi complici, a bassa voce. In classe  si è prestato alle nostre domande senza mai dar segno di insofferenza. L’unica condizione che ha preteso è che non gli venisse chiesto nulla del… luogo in cui si è trasferito da dieci anni. “Si sta come si sta”, ha tagliato corto. D’altra parte,  non lo ha scelto lui. Chissà  se ha dovuto firmare un modulo, per queste due ore di permesso.   

                               ***

- Buongiorno, signor De André. O dovremmo chiamarla dottore?

“ Lasciate perdere il dottore, non lo vorrei neanche se lo fossi. Sempre odiati,sti formalismi”.

- Infatti. Tutti sappiamo che lei è un grande poeta, uno dei più grandi in assoluto della musica italiana. Ma sappiamo anche che si iscrisse a giurisprudenza. Dopo ben diciotto esami, si arrese. Perché quella scelta? E perché quello stop, cosi vicino alla laurea?

 “Neanch’io mi rivedo, se penso ai codici e alla procedure. Magari non mi ritrovavo neanche allora, visto che smisi… Accadde in concomitanza col successo di ‘Marinella’, nella interpretazione di Mina. Guadagnai tanto, proprio tanto. Da quel momento in poi la musica divenne totalmente padrona del mio tempo. Del mio cuore, lo era già”.

- Come mai si è dedicato alla musica? Che significato ha avuto nella sua vita? 

“Non basterebbero dieci libri per rispondervi. Meglio essere sintetici. La musica è tutta la mia vita, punto”.

- Quali cambiamenti le portò la celebrità?

 “La chiamano ‘celebrità’, sì. Tutto sommato è una presa in giro, di certo una gran rottura di scatole. Cercai e trovai pace nell’Agnata, in Sardegna, ma questo lo sapete già.”

- Perche ha continuato a ironizzare e a provocare, con i suoi testi ‘scomodi’, anche quando l’hanno censurata?

 “ Ancora più divertente, non vi pare?”

- Il 27 agosto ’79 lei e la sua compagna, Dori Ghezzi, foste rapiti dall’Anonima Sequestri. La prigionia sarebbe durata quattro mesi: quali pensieri e quali paure avete vissuto in quel periodo terribile?

 “Ho sempre creduto che sarebbe finita bene. Quanto ai miei carcerieri, vi ripeto ciò che dissi all’epoca: noi ne siamo venuti fuori, mentre loro non potranno farlo mai”.

 

- Dopo il sequestro, lei ha dedicato una canzone ai rapitori. Cosa voleva trasmettere?

“Sì,Hotel Supramonte’. Cosa volevo trasmettere? La mia pietà”.

- Secondo lei quali sono i motivi per cui la Polizia la schedò? Come ci si sente a essere chiamato terrorista?

“Bella faccenda, dal ’69 al ’79 sotto il controllo delle questure. Ma i servizi segreti avrebbero fatto ancora meglio, bollandomi come simpatizzante delle Brigate Rosse. Sono indeciso, ragazzi. Sorriso, o pietà anche per loro?”

- Ha visto? Le stanno dedicando scuole, piazze, ora anche un negozio nella ‘sua’ Via Del Campo…  

“Cavolo, neanche fossi morto… ”.

- Ma aveva così tanti amici anche quando le Istituzioni la censuravano o la marcavano stretto?

“Buoni quelli veri. Vale sempre”.

- L’11 gennaio scorso è stato il decimo anniversario della sua… uscita di scena. Si è scoperto che tutti le volevano bene, che tutti l’hanno sempre stimata e rispettata, che lei praticamente non aveva nemici ma soltanto adoratori. Curioso, no?

“Qui è facile, né sorriso né pietà: solo una gran risata. Di quelle che vengono dalla pancia”.

- Nel corso della sua vita, dei pilastri importanti sono stati i suoi famigliari. Li ha anche inseriti nei suoi testi?

“Ma loro erano i miei testi. Dori, Cristiano, Luvi: il loro amore, quello che io provavo per loro e proverò sempre. Non occorreva nominarli. Erano i protagonisti del mio cuore, e dunque della mia forza”.

- Nelle sue canzoni introduce quasi sempre una descrizione del paesaggio. Pensa che ciò serva a favorire una maggiore profondità, o piacere, nell’ascoltatore?

“No, è una mia espressione, non un tentativo mirato. Sono paesaggi sentimentali, forse proprio determinati dalle emozioni dei personaggi e dalle loro vicende. Penso adAmore che vieni…’ : la successione delle stagioni ha la stessa musica interiore di quell’amore”.

-        L’amore, appunto: il perno attorno al quale ruotano i suoi testi.

“Beh, non solo l’amore. E non un solo tipo d’amore. C’è l’amore trovato, quello donato, quello comprato a 10mila lire… “.

-        In un portone, per sentirsi dire: micio bello e pacioccone.

“Bravi, lo so che avete fatto i compiti. Quanto sarebbero, oggi?”

-        Cinque euro, Faber.

E che ci fate, con cinque euro?

-        Ci compriamo un pacchetto di chewing gum. Perdoni l’invadenza, ma ci… tocca. Alla morte di suo padre, lei ha smesso di bere. Perché non ha anche smesso di fumare?

“Mi avete preso per un santo? Beone no, ma beato neanche. Sapeste quante cose ho capito, e scritto, e sognato, guardando il mare attraverso il fumo di una sigaretta. Questo non significa che io lo consigli a voi. Anzi, vorrei che capiste, scriveste e sognaste senza una sigaretta in mano”.

-        Lei può osservarci da una… postazione privilegiata. Ritiene che ne siamo capaci?

“Di sognare? Sì. Più che mai. O, almeno, come sempre. Prendete a calci nel sedere chi sostiene che  voi giovani d’oggi siete vuoti, incapaci di valori  e di emozioni. Avete poesia dentro come ogni uomo di ogni epoca. Solo che per voi è più difficile, perché vi hanno messo un materasso in testa e uno sul cuore: e allora dovete liberarvi delle zavorre. Ma è impossibile, se non ne siete consapevoli”.  

-        E’ vero che, durante il suo primo concerto, aveva le gambe che le tremavano?

“ Non solo le gambe, tremavo tutto. Ricordo che cantai insieme ai New Trolls. Quanti anni sono passati, voi che sapete tutto?”

-        Trentaquattro, signor De André.

“ Anni, o secoli? Come la chiamate, oggi? ‘Esposizione’, mi pare. Beh, io l’ho sempre odiata. Anche se ammetto che può essere un male necessario”.

 

 

-        Come sta Bocca Di Rosa?

“ Male. L’ipocrisia è aumentata, peggio della diossina”.

-        Come sta il giudice nano?

“ Malissimo. Oggi lo chiamano ‘soggetto afflitto da limitazione della crescita’. E i suoi aspiranti colleghi sbagliano l’ortografia all’esame di ammissione in magistratura. Un altro che ha capito d’aver sbagliato mondo. Non che prima non avesse qualche sospetto”.

-        Lei ha sempre letto molto, infatti ha rivelato di aver sostituito il nonno che non ha mai avuto con la letteratura. Si è mai ispirato a qualche testo?

“ Baudelaire, Cecco Angiolieri, Edgar Lee Master e altri. Troppo poco si è parlato di Alvaro Mutis, che è stato il maestro di Gabriel Garcia Marquez e che una volta ho incontrato. Poesia del naufragio: una magia desolata. Tutti mi hanno donato qualcosa, non potrò mai smettere di ringraziarli”.

-        Magari può farlo, dal luogo in cui si trova.

“ No comment, avevamo un accordo. E poi ora sono qui, con voi”.

 

                                 * * *

 

Ma è successo solo per qualche minuto ancora, perché poi Faber ha guardato l’orologio e ha detto: scusate! Scusate, devo andare. Anzi, tornare. Ha rimesso gli occhiali scuri e il berretto sui lucci argentati. Fuori, continuava a nevicare. Vado, ha ripetuto piano, quasi timido, e il prof Tarantino gli ha sussurrato qualcosa. Fabrizio si è passato una mano sul viso. Siete perduti, ha detto, se smettete di sognare. Siamo perduti, gli abbiamo risposto, se non ci aiutano quelli come lei, signor De André, o se vanno via. Ma io non sono mai andato via, ha sorriso lui, andando via.

 

La I E

 

 

 

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