Terremoto a Pasqua
Certo, un evento del genere, avvenuto durante la Settimana Santa, non può non essere un interrogativo per i credenti.
Come credere nella Pasqua, davanti al terremoto? La domanda vale anche per Auschwitz, per l'AIDS, per lo Tsunami, per l'11 settembre... E' la domanda sul male.
Sarebbe arrogante voler dare una risposta e suonerebbe anche offensivo nei confronti delle persone morte e dei loro familiari che soffrono. Credo che basti dire questo per commentare le parole, a dir poco inopportune, di un religioso (per fortuna, una voce isolata) che ha detto che con il terremoto Dio ha voluto rendere gli abruzzesi partecipi delle sofferenze di Gesù durante la Settimana Santa. Sono affermazioni che non rispettano i morti, offendono Dio e screditano la fede cristiana.
Ho apprezzato molto un sobrio articolo del filosofo Roberto Mancini, pubblicato su Avvenire, che affronta la questione, senza peraltro nominare direttamente il terremoto:
"l’obiezione vera viene dalla sofferenza insensata dovuta alla malvagità, alle calamità naturali, ai lutti interminabili.
Guardando le cose da questo fondo tragico dell’esperienza umana e di tutti i viventi cade la visione trionfalista della resurrezione e perde credibilità l’idea di una divinità onnipotente, cui si rimprovera di non essere intervenuta ad Auschwitz e in luoghi simili.
Tuttavia, proprio nel patire possiamo considerare l’annuncio della resurrezione, invece di liquidarlo. Se riusciamo ad affinare la coscienza della nostra condizione di fragilità, perveniamo a due negazioni: il no alla rassegnazione e il no all’attesa di una soluzione magica. Può aprirsi allora il confronto con il senso della resurrezione, che chiede di risalire al nucleo di ciò che siamo".
Bisogna abbandonare la pretesa di avere risposte o facili consolazioni a portata di mano. La fede consiste nel non perdere la speranza, anche quando sembra non ci sia più niente da sperare. Sperare nella luce anche in mezzo alle tenebre. Ma questa è la ricerca di ciascuno di noi. Libera, personale... Gli altri non hanno bisogno delle nostre parole. Solo di vicinanza e di sostegno concreto.
Nella mia riflessione quotidiana, mi sono imbattuto in questi pensieri di don Dante Clauser, prete trentino che ha dedicato la vita ai poveri e ai senzatetto:
"mi sembra che dobbiamo trascurare un dio che tutto domina in nome della sua onnipotenza. Il Dio della Chiesa nostra è il Dio che abita le misere capanne dei villaggi africani, che muore coi perseguitati nei campi di sterminio e piange in silenzio il dolore delle madri".
Da una parte il gioco di scacchi delle religioni che interpretano la presenza di Dio nel mondo cercando di contare a forza di scaltre alleanze coi poteri forti; dall'altra le fedi degli umili, di quelli che danzano le loro liturgie al ritmo povero della loro quotidianità, lontano dalle nubi d'incenso dei templi e immersi nelle condizioni drammatiche della violenza di cui subiscono le più estreme conseguenze.